L’evoluzione stellare: le stelle non sono immutabili

Tutto sommato é facile, ai nostri giorni, parlare di evoluzione stellare: da tempo ormai nessuno più si raffigura l’universo come un’incorruttibile sfera cristallina punteggiata di punti luminosi eterni ed immutabili. I Media contribuiscono a divulgare le spettacolari immagini inviate sulla Terra dal Telescopio Spaziale, immagini che ci parlano di immani catastrofi cosmiche, di titaniche collisioni tra galassie, di esplosioni di supernovae, di danteschi scenari d’infuocate fucine di nuove stelle; e ogni tanto, magari con qualche concessione alla fantasia, di tracce di sistemi planetari intorno a stelle vicine. E gli ormai innumerevoli programmi televisivi che si occupano di divulgazione scientifica (non tutti, purtroppo, rigorosi e corretti come il loro notissimo capostipite), e le sempre più numerose riviste divulgative, parlano continuamente di buchi neri, supernovae, stelle di neutroni. Tutti sanno che questi mitici fenomeni sono prodotti dalle ultime fasi di vita delle stelle: il che sottintende, appunto, un’evoluzione, e quindi un cambiamento nel tempo, delle stelle stesse.

Ma non è sempre stato così: si può liberamente parlare di mutamenti nell’universo soltanto da poco più di tre secoli: è niente, di fronte ai quasi due millenni e mezzo di vita dell’astronomia come scienza (è certamente scienza l’astronomia ellenistica, ma i suoi presupposti si trovano già nella filosofia ellenica del V e IV sec. A. C.). Ricordiamo infatti che l’immutabilità dei cieli, di aristotelica memoria, divenne un dogma che resistette fino al XVII sec., e ancora all’inizio di quel secolo, proprio nel 1600, fu arso vivo il filosofo Giordano Bruno che quel dogma osò mettere in dubbio. E tutti sanno delle peripezie di Galileo.

In ogni modo, almeno per quel che riguarda la scienza, i secoli bui sono alle nostre spalle. Oggi sappiamo che l’universo cambia nel tempo. E, in particolare, questi    cambiamenti riguardano le stelle.Sappiamo che le stelle non sono altro che altrettanti, lontanissimi soli.Fu Copernico il primo ad intuirlo (e non possiamo usare altre espressioni,in quanto il telescopio era ancora di là da venire, e il suo unico mezzo diindagine furono gli occhi). Ed é a questa intuizione che possiamo far risalire il punto d’inizio della ricerca sulla natura delle stelle.

Non possiamo certo citare tutte le teorie che si sono susseguite in materia negli ultimi tre secoli. Ricordiamo, solo per curiosità, che ancora nel XVIII sec. astronomi del calibro di Herschel credevano, per ragioni teologiche, che il Sole fosse abitabile, e abitato. E ancora, meno di un secolo fa, Camille Flammarion si rendeva conto che nulla di ciò di cui la fisica del suo tempo era al corrente valeva a spiegare il grande interrogativo della natura dell’energia sprigionata dal Sole. Citiamo testualmente da “In Cielo e sulla Terra“, edizione italiana del 30/9/1929: “… E ora, come si conservano questo calore e questa luce? Tre cause entrano in gioco: la contrazione del globo solare, la caduta di meteoriti sulla sua superficie, e gli sprigionamenti di calore prodotti dalle combinazioni chimiche. la prima causa dev’essere la più importante…” e l’autore continua calcolando che, in base a tali eventi, la vita totale del Sistema Solare non dovrebbe sorpassare, nella più generosa delle possibili ipotesi, i sessanta milioni di anni (e sbagliava certamente in eccesso). Ma aggiunge, con buona dose di prudenza:”… Non conosciamo tutte le risorse della Natura, e probabilmente questa prodigiosa irradiazione è dovuta ancora ad altre cause“. E infatti, mentre le pagine testé citate venivano date alle stampe, Einstein, stabilendo l’equivalenza tra materia ed energia, apriva la strada alla scoperta della fusione termonucleare, fenomeno in grado di spiegare, in un contesto di convincenti modelli fisico-matematici, i complessi problemi legati alla nascita, evoluzione e morte delle stelle.

Nascita, evoluzione, morte. Diamo per scontato, infatti, che le stelle debbano subire questa catena di eventi: perché? La ragione è semplice: se le stelle splendono, devono produrre energia, che viene emessa sotto forma di luce, calore ed altre forme di radiazione. In qualunque fonte di energia il combustibile, man mano che brucia, si trasforma in cenere, o in qualcosa di equivalente; anche nelle stelle deve avvenire qualcosa di simile. Quindi il problema non è sapere se le stelle cambiano, ma come cambiano. E’ ovvio che i processi relativi avvengono in intervalli di tempo incommensurabili non solo rispetto alla vita, ma addirittura rispetto all’intera storia della civiltà umana. Ma, come avremo modo di vedere, ciò oggi non costituisce più un problema.

Le nostre attuali conoscenze di questi processi (conoscenze che ci derivano dall’osservazione non più soltanto visuale, ma estesa a tutta la gamma dello spettro elettromagnetico, e all’elaborazione dei dati in nostro possesso, elaborazione che si avvale di strumenti, come i moderni computer, che fino a pochi decenni or sono erano del tutto inimmaginabili) ci dicono che la maggior parte delle stelle che vediamo ha almeno un terzo dell’età dell’universo, mediamente calcolata in 15 miliardi di anni; ma ne esistono certo di più vecchie, come quelle degli ammassi globulari che compongono l’alone galattico, la cui età è calcolata in 13-14 miliardi di anni, e ce ne sono certamente di molto più giovani, tanto da poter affermare che la formazione delle stelle è un fenomeno tuttora attuale; il che significa che siamo in grado di osservare direttamente la genesi di nuove stelle. In effetti, molti dei problemi relativi alla nascita ed alla successiva evoluzione delle stelle sono stati oggi, almeno così pensiamo, risolti, e la loro soluzione ha comportato una ricaduta eccezionalmente ricca anche in relazione alla soluzione di altri a quesiti ancora più antichi, quali quello relativo alla creazione dei vari elementi chimici e quello, antico quanto la ragione, dell’evoluzione, se non proprio della creazione, dell’Universo.

I modelli che spiegano il possibile meccanismo di innesco della nascita di una stella sono più d’uno, ma hanno tutti in comune la condizione di partenza: una nube di gas e polveri che si contrae sotto la spinta della forza di gravità: quel che si dice un collasso gravitazionale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *