Le nebulose planetarie

Nel Catalogo Messier troviamo pochissime nebulose planetarie, soltanto quattro: M27 (la Dumbbell Nebula), M57 (la Ring Nebula), M76 (la Little Dumbbell Nebula) ed M97 (la Owl Nebula). Ma le nebulose planetarie, anche se relativamente rare e spesso fuori dalla portata dei più modesti telescopi amatoriali, sono tra gli oggetti più interessanti da osservare, anche per la loro estrema varietà morfologica e l’aspetto bizzarro che qualche volta assumono.

La prima cosa da chiarire è che, malgrado il nome con cui vengono identificate, non hanno nulla da spartire con i pianeti: pare abbiano ricevuto tale denominazione nel 1785 da W. Herschel, che avrebbe paragonato il loro aspetto a quello del pianeta Urano, da lui scoperto nel 1781. Poiché però Darquier, nel 1779, aveva paragonato M57 ad un “evanescente pianeta“, è possibile che Herschel, al corrente di tale descrizione, l’abbia semplicemente estesa a tutta la classe di tali oggetti.

Le nebulose planetarie che possiamo osservare con mezzi amatoriali sono tutte membri della nostra galassia (60) ed ognuna di esse è associata con una piccola e caldissima stella centrale la cui temperatura superficiale va dai 25.000° C ai 120.000° C: le cosiddette nane bianche (o azzurre). Queste stelle estremamente dense e massive sono circondate da un guscio di gas estremamente rarefatto, che viene eccitato dalla radiazione ultravioletta della stella. Il volume del guscio gassoso è enorme, anche diversi anni luce, mentre la sua densità è talmente bassa da poter essere di pochi atomi per centimetro cubo: in perfetto contrasto con la densità della stella centrale, che può raggiungere anche le parecchie tonnellate per centimetro cubo.

Ma qual è l’origine di tali curiosi oggetti? La presenza della nana bianca al centro e il guscio di gas in espansione testimoniano che le nebulose planetarie sono il risultato (più precisamente, una fase intermedia) di un evento catastrofico (l’esplosione di una nova, o di una supernova) di cui la stella centrale rappresenta il nucleo collassato (imploso) e il guscio gli strati esterni eiettati dall’esplosione. In questo caso, la nebulosa planetaria potrebbe essere, almeno in alcuni casi, un’ulteriore fase evolutiva rispetto allo stadio di gigante rossa. C’è un caso, quello di V1016 Cygni, che appare abbastanza significativo: nel 1947 questa stella mostrava un tipico spettro da gigante rossa, ma fra il 1963 e il 1968 aumentò di cento volte il suo splendore, e il suo spettro si modificò in uno simile a quello di una nebulosa planetaria (61).

Abbiamo già accennato al fatto che questi oggetti possono assumere aspetti estremamente differenziati; per distinguerne le varie tipologie viene adottata la classificazione di Vorontzov-Veljaminov:

  • Tipo I:      Stellare
  • Tipo IIa:   Ovale, uniformemente brillante, concentrata.
  • Tipo Iib:   Ovale, uniformemente brillante, senza concentrazione.
  • Tipo IIIa:  Ovale, irregolarmente brillante.
  • Tipo IIIb: Ovale, irregolarmente brillante, con orli brillanti.
  • Tipo IV:   Anulare.
  • Tipo V:    Irregolare.
  • Tipo VI:  Anomala.

Nella tabella dei dati che inseriamo nella descrizione di ogni oggetto Messier, riportiamo la classificazione di Vorontzov-Veljaminov, sotto la semplice voce “Classe” (per motivi di brevità).

La nebulosa planetaria più brillante è NGC7009, la “Saturn Nebula” (a destra, in un’immagine in falsi colori tratta dal sito Internet SkyView della NASA): la sua mag. 7 si accompagna ad un’estensione angolare estremamente ridotta (35″x25″), meno della metà di M57. La più grande (15’: è la più vicina tra tutte le planetarie) è NGC7293, la “Helix Nebula“, che viceversa, pur avendo mag. Totale 6.5 è talmente diffusa da essere estremamente difficile da vedere. Entrambi questi oggetti si trovano nell’Acquario.