L’EVOLUZIONE DEL TELESCOPIO A RIFLESSIONE

                                                                  Fig. 1: Sir Isaac Newton

Nel 1666 Newton acquista un prisma alla fiera di Stourbridge; e nessuna transazione commerciale, probabilmente, é mai stata altrettanto prodiga di benefiche ricadute sul progresso dell’umana conoscenza. Ad essa infatti si può far risalire l’inizio degli esperimenti sulla luce e sull’ottica che costituiscono la base della dottrina che, già chiaramente tracciata (come vedremo) nella Nuova Teoria sulla Luce e i Colori presentata alla Royal Society nel 1672, verrà definitivamente ed organicamente esposta, trent’anni più tardi, nel trattato “Optics“, dato alle stampe nel 1704.

Allorché mise mano a tali esperimenti, Newton era ormai pronto ad andare oltre Cartesio e Keplero: perfettamente padrone del trattamento matematico della luce, come molti altri scienziati suoi contemporanei era estremamente interessato al perfezionamento delle lenti, per le quali, allo scopo di correggerne l’aberrazione sferica, Cartesio stesso aveva correttamente proposto curvature asferiche, e più precisamente paraboliche. Newton seguì la stessa via, e costruì diversi cannocchiali basati sulla rifrazione. Ma le ragioni che gli avevano suggerito l’acquisto di quel prisma, e gli esperimenti che ne seguirono, lo persuasero ad accantonare le sue ricerche sulle lenti.

Lo spazio non consente di entrare nel dettaglio del suo racconto dell’esperimento grazie al quale pervenne alla comprensione e alla descrizione della natura della luce; quel che conta è che egli si rese conto dell’impossibilità di concentrare esattamente la luce bianca in un punto focale mediante una lente, dato che la distanza focale risultava diversa per ciascuno dei colori componenti la luce bianca stessa: di qui le fastidiose frange colorate (iridazioni) che si osservavano nelle immagini fornite da cannocchiali e microscopi. Benché le lenti asferiche fossero in grado di correggere l’aberrazione sferica, esse non avrebbero potuto fornire alcun aiuto nei confronti di quelle frange.

“…Questo mi spinse -é Newton stesso che parla- a prendere in esame le riflessioni, e trovandole regolari… capii che col loro mezzo gli strumenti ottici potevano essere condotti a un qualsiasi grado di perfezione immaginabile, a condizione di trovare una sostanza riflettente levigabile altrettanto accuratamente del vetro, e capace di riflettere altrettanta luce quanto il vetro ne trasmette, e di riuscire anche a conseguire l’arte di conferire ad essa una forma parabolica…”

Fig. 2: disegno schematico del primo telescopio di Newton (Philosophical Transactions n° 82, marzo 1672).

Nel 1668 (dopo un periodo di stasi di un paio d’anni, che coincise con un suo soggiorno a Cambridge a causa dello scoppio della peste a Londra) si risolse dunque a costruire un piccolo riflettore, la cui apertura di soli 25 cm. rendeva non indispensabile il ricorso ad un’esatta parabolizzazione (al fine di ridurre l’aberrazione sferica); aveva scelto un bronzo bianco di ragguardevole durezza per gli specchi, che si era lavorati da sé. Lo strumento forniva circa trenta ingrandimenti (Galileo, d’altra parte, non aveva mai ottenuto di più dai propri cannocchiali) e gli permise osservazioni dei satelliti di Giove. Questo strumento gli conferì una certa notorietà, tale in effetti da suscitare l’interesse della Royal Society. Nell’autunno 1671 Newton aveva già realizzato un secondo strumento; la notizia giunse a Oldenburg, segretario della Royal Society, il quale chiese allo scienziato se non fosse possibile farlo pervenire alla Society stessa. Così, nella seduta dell’11 gennaio 1672, lo strumento fu presentato ai Soci e riscosse un successo tale che nella stessa seduta Newton fu accolto comefellow della Royal Society. Tra i partecipanti a quella seduta erano presenti fra gli altri il re d’Inghilterra Carlo II e celebri scienziati come sir Robert Hooke, con il quale Newton avrebbe in seguito polemizzato a lungo e per svariati motivi, Robert Moray e Christopher Wren.

Fig. 3: Schema ottico di un generico telescopio newtoniano

Il 6 febbraio, sulle ali del successo riscosso dalla sua invenzione, Newton scrisse la sua prima lettera su argomenti di ottica (la già citata Nuova Teoria sulla Luce e i Colori), per spiegare il supporto sperimentale e teorico dell’invenzione stessa; e nel marzo seguente inviò alla Royal Society la descrizione dello strumento. In Fig. 2 mostriamo copia del disegno schematico del primo telescopio di Newton, come appare in Philosophical Transactions (il periodico ufficiale della Royal Society) n° 82, marzo 1672, e in Fig. 3 lo schema ottico di un generico telescopio newtoniano.

Lo specchio aveva un raggio di curvatura di 32 cm. circa , quello della superficie sferica della lente (l’oculare) circa 4 cm. mentre la distanza tra lo specchio sferico e la lente (dopo la riflessione sullo specchio piano) era circa 16 cm.

Lo specchio primario (l’obiettivo) era realizzato in una lega di bronzo ed argento; ma Newton suggerisce di aggiungere dell’arsenico alla lega per aumentarne la durezza e quindi ottenere una superficie ad un livello di finitura più elevato.

              Fig. 4: Il telescopio di Newton

Anche se lo strumento destò l’ammirazione degli scienziati, insieme a questa non mancarono però le gelosie e le incomprensioni (soprattutto con Hooke, e non parliamo delle controversie scatenate dalla dottrina di Newton); ci fu chi rilevò dei difetti, come del resto è sempre avvenuto in presenza di ogni nuova invenzione. Qualcuno predisse, da facile profeta, che lo specchio si sarebbe ben presto opacizzato a causa degli agenti atmosferici e della polvere. Qualcun altro si mostrò scettico sulla maneggevolezza del telescopio a causa delle sue difficoltà di “puntamento”, specialmente se si fossero utilizzati ingrandimenti più elevati. Ma queste erano obiezioni cui non era difficile controbattere: lo specchio si poteva rilucidare, e le difficoltà di puntamento non sarebbero state maggiori nei confronti di un cannocchiale di potenza equivalente; più consistente invece era la perplessità concernente la forma dello specchio principale, che inevitabilmente avrebbe provocato aberrazione sferica, tanto più fastidiosa quanto maggiore fosse stata l’apertura. Sarebbe stato più opportuno dargli un profilo parabolico o iperbolico, come del resto anche Cartesio aveva suggerito per le lenti, per le quali si manifestava lo stesso difetto. Ma ciò avrebbe aumentato enormemente le difficoltà di lavorazione.

Fig. 5: Schema del telescopio di Cassegrain, come riportato in Philosophical Transactions n° 83, Londra, maggio 1972

Nello stesso anno, dalla Francia giunse la rivendicazione di uno sconosciuto, un certo Cassegrain, che aveva inventato un telescopio a riflessione. L’identità di questo personaggio è assai vaga, di lui si sa ben poco: forse era un professore di Fisica al Collegio di Chartres; o forse uno scultore e fonditore alle dipendenze di Luigi XIV. Comunque, fa la sua comparsa improvvisamente in ambiente scientifico in quello stesso 1672, quando, interessandosi del “megafono“, esprime il suo punto di vista in merito all’Accademie des Sciences di Parigi.

Fig. 6: Schema ottico di un generico Cassegrain

Il suo intermediario Henry de Bercè affermava, nella lettera di presentazione, che Cassegrain aveva inventato anche un telescopio a riflessione, la cui configurazione ottica differiva sensibilmente da quella dello strumento ideato da Newton. De Bercè quindi descrisse lo strumento all’Accademie, sostenendo la sua superiorità nei priorità, poiché l’invenzione di Cassegrain, secondo lui, era stata fatta diverse settimane prima di quella dello scienziato inglese. Così de Bercè fece ricorso alla Royal Society, inviando lo schema, che mostriamo in fig. 5 (in fig. 6 lo schema ottico di un generico Cassegrain) , e la descrizione del telescopio. Oldenburg inoltrò a Newton il reclamo e fece inserire la descrizione e il disegno nelle Philosophical Transactions: “…il Sig. Cassegrain ha inviato lo schema di un telescopio, del tipo di quello del sig. Newton. ABCD è un tubo robusto, nella cima del quale un grande specchio concavo CD, forato nel centro E. F uno specchio convesso, con la convessità disposta in modo da riflettere la luce che riceve dallo specchio grande, verso il foro E, dove posto un oculare…”

La risposta di Newton non si fece attendere a lungo: si trova in una memoria, inviata nello stesso anno alla Royal Society, e pubblicata nello stesso fascicolo delle Philosophical Transactions in cui era descritto lo strumento di Cassegrain. Newton, in seguito ad un’analisi accurata dello strumento, giunge alla conclusione che esso presentava diversi difetti e inconvenienti: “…Quando mi dedicai allo studio degli effetti della riflessione, ebbi l’occasione di leggere l’Optica promota del sig. Gregory, nella quale, a p. 94, era descritto uno strumento simile a quello del sig. Cassegrain, con un foro nel mezzo dell’obbiettivo di metallo, per trasmettere la luce verso un oculare posto dentro di esso; allora ebbi l’occasione di analizzare bene lo schema e vi trovai i seguenti difetti…”; e prosegue, elencando i vari difetti che, a suo giudizio, inficiavano la qualità delle immagini tanto nel telescopio di Gregory quanto in quello di Cassegrain e che li rendevano senz’altro peggiori di quello da lui realizzato.

Ecco quali erano, secondo Newton, i principali difetti di tali telescopi:

1) insufficiente luminosità: la quantità di luce che si sarebbe persa nella riflessione dal piccolo specchio convesso (il “secondario“) era certamente maggiore di quella perduta dallo specchio piano, ovale, del suo telescopio.

2) lo specchio convesso non rifletteva “bene” i raggi come quello piano, a meno che non fosse iperbolico (a causa dell’aberrazione sferica). Questo tipo di specchio, tuttavia, era di difficile esecuzione pratica; inoltre, sarebbe stato esente da aberrazione solo per i raggi parassiali. Inoltre nei due telescopi questo difetto veniva aumentato a causa del lungo percorso che dovevano fare i raggi per arrivare all’oculare. Proprio per questo motivo nel suo telescopio aveva messo l’oculare più vicino possibile allo specchio secondario, senza tuttavia intercettare il percorso della luce. Le aberrazioni dei raggi marginali, provenienti dallo specchio concavo, sarebbero state aumentate dallo specchio convesso, ed essendo questo il maggior responsabile dell’ingrandimento dell’intero strumento (e qui, per una volta, si sbagliava di grosso!), le immagini sarebbero risultate senz’altro confuse.

A giudizio di Newton, in sostanza, il telescopio del Francese presentava svantaggi, piuttosto che vantaggi. Inoltre, lo specchio convesso necessitava di una lavorazione estremamente accurata, e l’esperienza dimostrava le eccessive difficoltà cui si andava incontro nella lavorazione dei piccoli specchi curvi. Infatti, fa notare Newton, anche il telescopio di Gregory dal punto di vista pratico era stato un insuccesso.

E, in effetti, a la tecnologia dell’epoca non consentiva la realizzazione di specchi curvi tali da fornire immagini otticamente accettabili per le esigenze dell’osservazione astronomica; quindi le sue critiche ai telescopi costruiti con due specchi curvi erano fondate, così come gran parte delle osservazioni sulla luminosità degli strumenti. Errata, invece, si sarebbe dimostrata la tesi che la presenza di due specchi curvi avrebbe causato un aumento dell’aberrazione sferica: nel 1779 Jesse Ramsden, personaggio sul quale torneremo a parlare ancora in seguito, mostrò che, con la combinazione di uno specchio concavo e di uno convesso come quella del telescopio di Cassegrain, si correggevano le aberrazioni di sfericità prodotte da ciascuna superficie; non così nei telescopi del tipo di quello di Gregory, nel quale le aberrazioni si sommavano, in quanto gli specchi erano entrambi concavi. La scoperta di Ramsden fece sì i telescopi di grandi aperture, che vennero costruiti in seguito, adoperassero prevalentemente la configurazione Cassegrain.

Come abbiamo detto, lo strumento inventato da Newton riscosse un notevole consenso nell’ambiente scientifico; ma dopo gli entusiasmi iniziali giunsero le delusioni, dovute, oltre che alle difficoltà legate alla sua realizzazione pratica, anche alle prestazioni tutto sommato deludenti dei pochi strumenti che si era riusciti a realizzare. Le immagini che fornivano erano di qualità più scadente rispetto a quelle dei telescopi a rifrazione, anche se questi ultimi erano affetti da aberrazione cromatica (“iridazione” dei bordi delle immagini).

Insomma, sebbene fossero evidenti le potenzialità del telescopio di Newton, c’era un problema di tecnologia: questa era ancora incapace di fornire prodotti le cui qualità ottiche fossero accettabili per l’uso astronomico, e, caratteristica non meno importante nella pratica, che fossero anche di facile commercializzazione.

Molti anni più tardi, nel 1704, Newton pubblicò “Opticks“, il suo grande trattato sull’ottica. In quest’opera vengono descritti i materiali da adoperare per la costruzione degli specchi concavi di metallo, nonché le tecniche per ottenere lavorazioni accurate. Viene anche descritto un telescopio a riflessione un po’ diverso da quelli che l’autore aveva realizzato fino allora.

In Opticks, Newton ripercorre un po’ la storia dei motivi che lo hanno indotto ad occuparsi dei telescopi a riflessione, e, dopo aver analizzato i difetti dei cannocchiali, afferma di aver costruito due telescopi che utilizzavano specchi metallici. Le prestazioni degli strumenti sarebbero state paragonabili a quelle di un cannocchiale diottrico di circa 122 cm. di lunghezza. Uno di questi due strumenti fu donato dal suo autore alla Royal Society, l’altro, come afferma lo stesso Newton al momento della stesura dell’Opticks, era ancora in suo possesso, con gli specchi un po’ ossidati, ma ancora funzionante.

Tuttavia, osserva Newton, la lavorazione degli specchi in metallo, pur assicurando buoni risultati quando vengano eseguite scrupolosamente le sue istruzioni, è pur sempre un’operazione i cui risultati rimangono inficiati dall’insoddisfacente durezza del materiale. L’impiego di specchi in vetro sarebbe più vantaggiosa, e non solo per questo motivo: si ottengono elevate luminosità adoperando come superficie riflettente un sottile strato di mercurio spalmato sulla faccia posteriore dello specchio; è però essenziale che le due facce del vetro siano alla stessa distanza reciproca (parallele) in ogni punto: ciò al fine di evitare indesiderati effetti prismatici. Newton fece realizzare da un ottico di Londra uno specchio di questo tipo, ma la qualità delle immagini fornite lasciava molto a desiderare. Egli attribuì questo insuccesso alla poca abilità dell’artigiano che aveva lavorato lo specchio.

In seguito, evidentemente, trovò un ottico molto più abile: descrive infatti un ulteriore strumento con specchio di vetro, di 15 cm. di diametro e focale di 183 cm., capace di fornire 200-300 ingrandimenti, e che presentava un’importante novità: al posto dello specchietto ovale dei primi telescopi Newton aveva posto un prisma a 90°, fatto funzionare in “riflessione totale“, aumentando così notevolmente la luminosità del telescopio. L’oculare era costituito da una lente piano-convessa, diaframmata con una lastrina di piombo. Le immagini fornite dal telescopio erano rovesciate, quindi il suo uso era rivolto all’astronomia; tuttavia queste potevano essere raddrizzate, benché a scapito dell’acromaticità, adoperando un prisma con facce convesse. Newton conclude quindi l’argomento con un’osservazione molto sottile: i telescopi non potranno essere perfezionati oltre un certo limite a causa del movimento dell’aria che provoca il “tremolio” delle immagini a forti ingrandimenti.

L’invenzione di Newton aveva consentito di intravedere le potenzialità del telescopio a riflessione, certo superiori, teoricamente, rispetto a quelle del cannocchiale tradizionale. Ma ogni sforzo da parte degli ottici di ottenere prestazioni effettivamente soddisfacenti risultava vano. Si trattava di un problema di mera tecnologia: le difficoltà erano tutte nella lavorazione degli specchi; se si usava il vetro, da un lato, era impossibile reperirne frammenti che fossero sufficientemente esenti da difetti quali striature, disomogeneità, bollicine, ecc.; Newton aveva visto bene nel ritenerlo il materiale migliore ma, almeno per il momento, ciò era giusto solo in teoria. L’impiego del metallo, d’altra parte, se sembrava fornire, al momento, risultati migliori, non consentiva però di ottenere superfici speculari con un livello di finitura sufficiente per uno strumento ottico, causa l’insoddisfacente durezza del materiale (anche se si impiegava una lega tra bronzo ed arsenico, secondo le indicazioni di Newton). Si sarebbe dovuto aspettare ancora qualcosa come mezzo secolo perché fosse possibile realizzare uno strumento paragonabile ai cannocchiali, i quali peraltro, nel frattempo, avevano goduto di importanti miglioramenti.

Fig. 7: John Hadley

Ma la ricerca non si fermò. John Hadley, assieme ai fratelli George ed Henry, nel 1719 costruì un telescopio a riflessione dotato di una lunghezza veramente ragguardevole per l’epoca: lo specchio aveva una focale di 5 piedi e 3 pollici. I risultati furono abbastanza incoraggianti da persuadere Hadley a costruirne un secondo esemplare. Ne donò uno alla Royal Society, e in una memoria pubblicata in Philosophical Transactions nel 1723 ne descrisse dettagliatamente ogni particolare, compresa la lega adoperata per gli specchi, e il metodo usato per la lavorazione degli stessi. Questa memoria fu fondamentale per la successiva evoluzione dei riflettori: essa, infatti, fu usata a lungo da scienziati ed ottici quale manuale per la costruzione degli strumenti successivi. In tutte le più autorevoli pubblicazioni scientifiche dell’epoca comparve la descrizione del telescopio di Hadley.

Nello stesso periodo anche altri studiosi si dedicarono alla realizzazione di telescopi catadiottrici. Tra questi spiccano James Bradley, Samuel Molineaux e Robert Smith, che collaborarono tra loro, e con lo stesso Hadley.

Fig. 9: Sestante di Hadley, costruito da Jesse Ramsden, conservato presso il Museo dell’Osservatorio Astronomico “G. S. Vaiana” di Palermo (Cortesia dell’Osservatorio Astronomico “G. S. Vaiana” di Palermo)

James Bradley costruì un Telescopio newtoniano che dette ottima prova di sé, tanto che subito dopo averlo completato, insieme a Molineaux si dedicò alla costruzione di un esemplare di dimensioni maggiori. Lo strumento era stato commissionato dall‘Osservatorio di Kiev, aveva 26 piedi di focale e fu completato nel 1726 dopo notevoli difficoltà, che furono superate dai due studiosi grazie anche ai consigli dello stesso Hadley. Samuel Molineaux era infatti in stretti rapporti di amicizia con Hadley, il quale gli aveva insegnato tutti i segreti sulla costruzione dei telescopi. Dopo aver realizzato un telescopio newtoniano di 26 pollici di diametro, ne aveva costruito un altro esemplare per Giorgio V del Portogallo, con uno specchio in metallo di raggio di curvatura di 2 piedi e 2 pollici.

Robert Smith, che in precedenza aveva costruito un telescopio newtoniano di 26 pollici di focale, continuò a collaborare con Bradley. Così i due “ottici“, dopo aver realizzato il telescopio per l’Osservatorio di Kiev, intrapresero la costruzione di un altro strumento di 8 piedi di focale di prestazioni superiori rispetto a quelle del precedente.

Nel 1726 Molineaux e Bradley, con l’intenzione di commercializzare la costruzione di telescopi, contattarono due “ottici” londinesi: E. Scarlett e G. Hearne, ai quali insegnarono i loro metodi di lavorazione degli specchi. Tuttavia la fabbricazione di questi strumenti non era ancora un’impresa commercialmente valida: soltanto pochi amatori facoltosi o studiosi ben sovvenzionati potevano permettersene l’acquisto, dato che la costruzione di uno strumento richiedeva tempo e materie prime molto costose per la fusione degli specchi.

Nella Londra dell’epoca non mancavano certamente altri “ottici” validi, come Francis Hauksbee il quale, nel 1725, aveva costruito due telescopi a riflessione, uno di focale 6 piedi e l’altro di focale 12 piedi. Tra i più celebri costruttori inglesi di strumenti ottici del ‘700 vanno ricordati James Short e Jesse Ramsden. I loro strumenti erano richiesti in tutta Europa, e persino in America, sia per la precisione nel funzionamento che per le qualità ottiche. Nella loro produzione, che abbraccia ogni tipo di strumento ottico, non mancano i telescopi a riflessione.

Image14.gif (61015 byte)Fig. 10: Telescopio gregoriano di Short (Cortesia dell’Osservatorio Astronomico “G. S. Vaiana” di Palermo)

James Short, durante tutta la sua lunga attività, che è durata circa 33 anni, costruì ben 1360 telescopi a riflessione. Fu tra i primi a costruire telescopi con lo specchio di vetro riflettente posteriormente, così come auspicava Newton. Short annoverava clienti in tutta Europa. Nel 1741 costruì un telescopio di focale 3 piedi per l’osservatorio che aveva fatto costruire a proprie spese George Parker, ricco nobile inglese. L’osservatorio era dotato di pregevoli strumenti, tra i quali quello di Short si distingueva per una caratteristica veramente singolare per l’epoca: era infatti facilmente convertibile in una delle tre configurazioni classiche di Newton, Cassegrain e Gregory. Era dotato di tutti i possibili accessori, compresi quelli per l’osservazione del Sole, e in configurazione gregoriana forniva 340 ingrandimenti. I più grandi telescopi di Short ebbero focali di 12 piedi.

Per l’Osservatorio Reale di Parigi, per incarico del celebre astronomo Le Monnier, Short costruì due telescopi, uno di 6 piedi e l’altro di 4 piedi di focale. Quest’ultimo è conservato presso il Conservatoire des arts et metiérs di quella città. Per l’Accademia delle Scienze di Pietroburgo costruì un telescopio di 4 piedi di focale. L’ordine gli era arrivato dopo che aveva inviato ai soci dell’Accademia una memoria nella quale descriveva un suo telescopio al quale aveva applicato un micrometro di Dollond. Nel 1759 l’astronomo svedese B. Ferner ne aveva acquistato uno dotato di un micrometro di Sisson.

In occasione del transito di Venere davanti al Sole, nel 1760, la Royal Society commissionò a Short due telescopi di 2 piedi di focale, provvisti di micrometro di Dollond. I dati astronomici presi in quella occasione furono deludenti, così nel 1768 in occasione di un secondo passaggio fu inviata una spedizione a Thaiti, equipaggiata anche con i due telescopi e sotto il comando di James Cook.

Fig. 11: Jesse Ramsden

Negli Stati Uniti, per interessamento di B. Franklin, e per conto dell‘Università di Harvard, fu ordinato a Short, nel 1767, un telescopio di 4 piedi di focale per sostituire uno strumento analogo, distrutto in un incendio. Ma lo strumento fu completato nel 1769 da Thomas, fratello di James, in quanto nel frattempo questi era morto.

Circa nello stesso periodo in Inghilterra operava anche Jesse Ramsden, anch’egli reso celebre dalla sua eccellente produzione di strumenti ottici alcuni dei quali conservati nei più grandi musei del mondo, e tra questi ci piace ricordare il celebre “Cerchio” costruito per Piazzi e conservato presso l’Osservatorio Astronomico “Giuseppe Vaiana” di Palermo.

Friedrich Wilhelm Herschel (o William Herschel, come viene chiamato sempre dal suo stesso figlio John, anch’egli astronomo, nelle sue opere) non fu soltanto grande astronomo (scoperta di Urano): a lui si deve anche la scoperta della radiazione infrarossa. Inoltre, Herschel si distinse anche come costruttore di telescopi a riflessione. Il suo primo strumento risale alla fine del 1773: si trattava di un esemplare di tipo gregoriano, con specchio in metallo e focale 5 piedi e mezzo. Ne costruì presto un altro, con 7 piedi di focale e 200 ingrandimenti, newtoniano, che riscosse un grande successo. Nel 1782 ne produsse un terzo, con 20 piedi di focale e oltre 18 pollici di diametro. Herschel otteneva i suoi specchi da una lega di rame e stagno chiamata speculo.

Fig. 12: Specchio costruito da Herschel (Cortesia dell’Osservatorio Astronomico “G. S. Vaiana” di Palermo)

Quattro anni più tardi, nel 1786, pensò di modificare un telescopio newtoniano per renderlo più luminoso. Soppresse quindi lo specchietto a 45 gradi e inclinò lo specchio concavo in modo da formare l’immagine direttamente sull’oculare (front-view), come aveva pensato di fare Le Maire fin dal 1728.

Alla fine del 1785 Herschel ottenne un finanziamento di ben 2000 sterline per la costruzione di uno strumento. I lavori furono eseguiti a Slough, in un piazzale (160 piedi); lo strumento fu completato nel 1789. Il telescopio, che era il più grande mai costruito dall’uomo sino allora, misurava 12 m. di lunghezza e 1.47 di diametro, e forniva 1200 ingrandimenti. Lo specchio pesava circa 1000 kg.; per il puntamento fu utilizzato un sistema di corde e carrucole simile a quello presente nei grandi velieri dell’epoca. Herschel pubblicò la descrizione dello strumento in una memoria nelle Philosophical Transactions del 1795. Lo strumento, certo, per quell’epoca rappresentava una vera e propria meraviglia della tecnologia; ma, in pratica, risultava quasi inutilizzabile a causa degli eccessivi ingrandimenti e della scarsa manovrabilità. Ma la realizzazione dello strumento ripropose all’attenzione degli astronomi l’impiego dei telescopi a riflessione, che da un po’ di tempo erano stati accantonati a causa dei continui miglioramenti apportati dalla tecnologia ai rifrattori. Oltre che straordinario scienziato, Herschel fu indubbiamente anche un eccellente artigiano; costruì personalmente oltre 200 specchi di 7 piedi di focale, e ne vendette in ogni parte del mondo.

Dopo lo strumento di Herschel, sembrava che si fosse giunti ai limiti delle potenzialità del telescopio, e che la tecnica relativa non avesse più nulla da dire. Oltre tutto, il cannocchiale, grazie a Merz e Mahler, successori di Fraunhofer, aveva toccato livelli di perfezione davvero notevoli.

Fig. 13: Il “Leviatano” di Lord Rosse

Ma i telescopi a riflessione erano destinati a mettere ancora a rumore il mondo scientifico; e lo fecero grazie a William Parson, conte di Rosse, nobile e ricchissimo inglese. Abbastanza ricco da potersi dedicare a tempo pieno al suo hobby preferito, la costruzione di telescopi a specchio. Gli specchi da lui costruiti si distinguevano per una peculiarità caratteristica: erano fatti non di un pezzo solo, ma da più parti riunite insieme da un unico supporto. Il suo primo lavoro fu uno specchio da 6 pollici, costituito da una parte centrale ed una corona periferica, entrambe sferiche; tre viti calanti consentivano di muovere la parte centrale in modo da far coincidere i fuochi delle due componenti e correggerne anche l’aberrazione sferica. Successivamente ne costruì uno con apertura di 15 pollici e 12 piedi di focale, composto anch’esso di più parti. Nel 1820 ne realizzò un altro di 3 piedi di diametro, sempre di tipo “composito“. E fu un enorme successo, tanto grande che Lord Rosse fu incoraggiato a farne uno ancora più grande. Così nel 1842-43 iniziò la costruzione del nuovo telescopio nel parco di una sua villa di Birr, in Irlanda.

Lo strumento fu completato nel 1845. Era lungo 16.76 m., e lo specchio, sempre composto, aveva un diametro di m. 1.83 e pesava 3808 kg. Non per nulla fu soprannominato “il Leviatano“.

Fu un’opera veramente titanica, a confronto dei mezzi di quei tempi. Ci vollero cinque fusioni prima che se ne ottenesse una soddisfacente, tale da poter passare alla lavorazione ottica delle superfici (Lord Rosse aveva anche perfezionato un macchinario per fornire ai suoi specchi la curvatura ottica prevista). Enormi furono anche le difficoltà incontrate nella collocazione dello specchio, che pesava ben quattro tonnellate, nel tubo lungo 17 metri e largo 2 metri e quaranta.

Le insormontabili, per l’epoca, difficoltà meccaniche ne rendevano estremamente precario l’uso: la tecnologia del tempo non consentiva certo di dotare quel mostro ottico di una montatura paragonabile a quelle attuali: il “Leviatano” era imprigionato tra due muri paralleli che non gli consentivano di scostarsi dal meridiano di oltre 15 gradi. Le possibilità di seguire un determinato oggetto erano praticamente nulle; ciò nonostante, l’apertura gigantesca e la risoluzione che ne seguiva furono tali da consentire, per la prima volta, l’osservazione delle spirali di una galassia, M51 in Canes Venatici.

Anche se non mantenne del tutto le promesse lasciate presagire dalle sue dimensioni, pure il “Leviatano“, al confronto del quale il telescopio di Herschel non era che un giocattolo, dimostrò che era possibile costruire specchi sempre più grandi: il telescopio a riflessione aveva raggiunto ormai dimensioni sulle quali i rifrattori, pur con tutti i pregi che non si potevano loro negare, non avrebbero mai potuto competere. Era aperta la strada verso le enormi aperture dei telescopi moderni.